Tornando da Prato in un orario
indefinibile del pomeriggio, percorro via Arrendevole. Un nome, pare,
derivato e dalle chiacchere e dal sudore gocciolante sulla
canna-Bianchi di ciclisti di sessant'anni fa. Capirete, ovviamente,
che si tratta di strada in salita. Arrendevole. Mezzo
pomeriggio....un'orario a metà tra lupo e cane.
Ripenso alla frase di una signora
straniera che quando dissi che era mia intenzione inventarmi
un'attività nel suo paese, osservandomi fra stupore e curiosità,
mi disse che allora si sarebbe trasferita lei in un luogo bello come
la Toscana, altroché. “Come si può andarsene da una bellezza
così?”.
Dicevo: ho ripensato a questa frase
proprio mentre stavo percorrendo questa lingua selvaggia ascendente
della mia terra, fra alberi ossuti e silenzi canterini.
Non si perdono mai certi suoni e certe
movenze, nemmeno se la vita ti porta in Amazzonia a stare.
Non si perdono come non si perdono
certi modi di avere orecchio per la musica; come non si perde il modo
di camminare; come non si perde il rintocco dell'ora che sta a metà
tra lupo e cane. Perché quella cosa che ascolti e che cammini, a
volte rotolando ed a volte correndo sicuro........sei tu.
E nutri il sogno che la terra che ti ha
partorito forse sia ancora più bella da ricordare attraverso le tue
vene o il tuo solito sangue che bussa sotto agli occhi quando i
pensieri si infittiscono di emozioni.
Arrivo vicino ad una famosa villa
medicea. Ne ha tanti di camini. “....son morto con altri
cento.......passato per il camino.........e
qui ce ne sono tanti davvero di camini........”. Che stupido.
Canticchio.
Poi sento i morsi dell'appetito. In
questi luoghi viene sempre fame. Perché? Un mistero. Forse quello
che ti vorresti mangiare, per portartelo via, è proprio il luogo,
no? Che stupido.
Ma lo stupido ha fame.
Vedo la vecchia insegna di posto
telefonico di paese, appiccicata ad un muro dall'intonaco vecchio e
marrone; proprio come il colore di quei boschi di prima. Un telefono
pubblico che certo sarà servito a qualche vecchio ciclista stupito
di non riuscire proprio più a tornare verso casa, come faceva
vent'anni prima ed allora: ...”TUH, TUH, TUH..........son'io,
venitemi a prendere sull'Arrendevole!”.
Solo la buia insegna di “SAMMONTANA,
GELATI ALL'ITALIANA” mi fa capire che dietro a quel muro ed al di
là di quella porta anodizzata dovesse esserci ancora un bar da
merende.
Entro.
Si apre il mondo chiudendosi su se
stesso.
Un bancone ricolmo di salumi brutti (e
quindi buoni), formaggi senza inutili targhette
eeeeee...............e una soppressata (che notoriamente non
appartiene al genere dei salumi ma fa parte di una famiglia a se
stante come quella costituita da un solo elemento che non si vuol
concedere al passante né all'amante. Ma allo spasimante.) Un colore
grigio smorto che ne denuncia la maestosa bontà, inversamente
proporzionale, appunto, all'aspetto losco.
Notoriamente quella rossiccia del
supermercato è di fin troppo facili costumi.
I gestori: una coppia anziana ed
avvezza ai precipizi degli avventori affamati giovani e vecchi.
In questi luoghi non si ordina una
merenda, ma si domanda.
Domando una schiacciata sciocca ripiena
di soppressata ed ordino (ora si) una moretti piccina....(anche se
rimango stupito dell'assenza della Splugen o della Peroni.......”non
si può avere tutto”, mi dico).
Mi siedo.
Meglio: mi raccolgo.
Tavolino di fòrmica davanti ad un
gigantesco televisore Grundig (schermo mesozoico con tubo catodico
modello cappa).
Io ed il barista guardiamo la Venièr.
Ma io mangio a differenza di lui........
Lui commenta una storia televisiva
incomprensibile e che ovviamente lui ha compreso benissimo.
Sento forti bestemmie provenire da un
gruppo di ragazzi foruncolosi che giocano a carte nel teatrino rosso,
attiguo e ben visibile. Vero! Un teatro con tanto di palcoscenico e
sipario. Quelle bestemmie non le comprendo nemmeno tanto sono
bizzarre e fantasiose, ma, mi dico, “....sarà Eschilo......ed io
il greco antico non lo ricordo più”....
Una misteriosa fruitrice di caffè
parla con la “salumaia” in piena confidenza ed utilizzando spesso
il “Dé”. Il dé a Prato. Mah........
-”....ma in che posto
sono?”........una babele di suoni, sapori e fonetiche sradicate.
Io, ancora raccolto come prima, mi
scopro ad adorare tutto questo.
Traggo forza dalle cose che sempre ho
creduto di capire ma che invece non ho mai capito. Traggo forza dallo
scoprire che adesso finalmente tutto è intonato al resto. E forse
non c'è niente da capire se non i contesti nei quali ci fiondiamo.
Cioè.....capire noi stessi in rapporto a tali contesti...meglio.
A malincuore pago. Mi stupisco che il
conto non sia in lire.
Esco ed il vento che sfianca una
madonnina agita anche me.
Sono l'ora dell'inchiostro a metà tra
lupo e cane. E riprendo la strada di casa in piena ora del lupo.
Buio.
Ed attendo la strada che porta sempre
da qualche altra parte e che i allontana inesorabilmente da ogni casa
che senti dentro a quella scatola che chiamiamo cuore.
Eschilo non l'ho mai capito, nemmeno
quando il greco antico lo intendevo, ma in fondo........parlava
parole che bastava aspirare...